Il segno è la traccia lasciata volontariamente dall'uomo. La volontà corrisponde alla necessità di mantenere fermo il ricordo o la prova di un'azione, di un desiderio, di una paura nella memoria (ecco perché gli uomini ancora oggi lasciano segno della propria volontà con una firma).
L'uomo del Paleolitico scoprì per primo la potenza e l'eternità dei segni. Le grotte di ogni continente custodiscono ancora oggi i primi segni dell'uomo: scene di caccia, animali, riti di iniziazione. Segno quindi sono; segno quindi sono stato: nonostante il soggetto trapassi, il segno resta.
L'uomo del Neolitico ereditò il segno: ne qualificò l'uso e ne liberò una parte dal suo significato magico. Lo introdusse nella vita quotidiana. Significativi sono i ritrovamenti di dischi di pietra segnati con una croce e che attestavano probabilmente lo scambio di beni "preziosi" (pecore, capre).
La Rivoluzione agricola del 10.000 ca. a. C. e il conseguente passaggio dall'organizzazione sociale del villaggio a quelle delle prime città, costrinsero l'uomo a servirsi non più del segno ma dei segni. La complessa organizzazione della città si tradusse in una complessa organizzazione di segni. La città ha i magazzini per i prodotti agricoli, la città ha i templi e le donazioni dei fedeli: la memoria deve essere resa ferma, certa, inoppugnabile.
Le prime forme di scrittura nacquero in Mesopotamia tra il IV e il III millennio a. C. e quasi contemporaneamente anche in Egitto. La scrittura è un sistema di segni organico, convenzionale, riconosciuto ed accettato da altri.
I primi sistemi di scrittura utilizzati sia dai Sumeri che dagli Egizi si basavano sui pittogrammi, ovvero si disegnava ciò che si voleva segnare: "scrivere" la parola «pecora» era "disegnare" una/la pecora. Questa prima forma di scrittura fu tipica non soltanto alle popolazioni della "Mezzaluna fertile", ma fu comune a molte civiltà, quelle dell'India, dell'Estremo Oriente e dell'America del Nord[1].
Al sistema di scrittura pittografica seguì quello di scrittura ideografica, il quale permetteva di scrivere non solo parole che indicavano oggetti materiali, concreti, ma anche concetti astratti, come le azioni. Nella scrittura ideografica il segno non è più soltanto rappresentazione dell'oggetto raffigurato, ma anche di un'idea legata ad esso: il segno stilizzato che raffigura un occhio, non è più soltanto la parola «occhio», ma anche l'azione di vedere, quindi la parola «vedere».
Il sistema di ideogrammi fu alla base delle scritture mesopotamica[2], egizia e cinese[3]. Gli ideogrammi sumeri ed egizi tuttavia si differenziano nei segni e nelle modalità di scrittura, nei supporti e negli usi.
I Sumeri utilizzavano la cosiddetta scrittura «cuneiforme». Questo tipo di scrittura prende il nome dalla peculiare forma dei segni, a cunei appunto, ovvero dei triangoli disposti in posizioni e grandezze diversi. Il caso fortuito di un incendio ha permesso la conservazione delle tavolette d'argilla fino ai nostri giorni. Importante rimane il codice di Hammurabi, prima testimonianza scritta di leggi incisa con caratteri cuneiformi (colonna di pietra, risalente al periodo assiro-babilonese, XVIII sec. a.C.).
Di grande rilievo risulta l'iscrizione epigrafica sulla roccia del monte Behistun in Iran risalente al VII-VI sec. a. C., in cui i caratteri cuneiformi vengono utilizzati per scrivere lo stesso testo in tre lingue differenti (babilonese, persiano antico ed elamitico). Questa testimonianza, scoperta e decifrata dall'inglese Henry Rawlinson (1810-1895)[4] mette in luce il passaggio verso l'uso fonetico della scrittura, ovvero l'associazione di un suono, o di un insieme di suoni, a un segno grafico, per mezzo dell'acrofonia[5].
In Egitto la scrittura ideografica è denominata «geroglifica» (la parola «geroglifico» deriva dal greco e significa letteralmente: «sacri segni scolpiti»). Tracce di geroglifici si hanno già nel III millennio e la forma di scrittura rimase in uso fino al I sec. a. C. nonostante l'Egitto fosse già dal III secolo quasi interamente "grecizzato". Reperti con geroglifici vengono datati già a partire dal III millennio a. C. e sono giunti sino a noi su tavolette d'argilla, papiri e monumenti religiosi e funerari. Il sistema dei geroglifici era particolarmente complesso e fondamentale alla sua comprensione fu il ritrovamento della stele di Rosetta nel 1799 (lastra in basalto che riporta un'iscrizione in tre scritture: geroglifico, demotico e greco antico), che permise a J. F. Champollion di decifrarlo nel 1822. La scrittura geroglifica poteva essere scritta da destra verso sinistra, da sinistra verso destra, dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso. Anche la scrittura egizia, come quella sumera, subì già nel I millennio a. C. un'evoluzione in senso fonetico. Testi in geroglifico riportano l'uso integrato di ideogrammi e del sistema fonetico[6].
L'alfabeto nacque invece in Fenicia nel I millennio a. C.. L'innovazione dell'alfabeto è legata alla sua struttura: ad un fonema (un suono) corrisponde un grafema (un segno grafico). Tale caratteristica rendeva infinitesimale la combinazione tra i segni e di conseguenza la scrittura di qualsiasi parola[7].
L'alfabeto fenicio, formato solo da consonanti, fu mutuato dai Greci, che lo fornirono di vocali, e per tramite della mediazione greca ed etrusca esso arrivò a Roma. L'alfabeto latino, tuttora in uso, è diffuso in tutto il mondo per motivi culturali ed economici ed è uno delle evoluzioni di quello fenicio.
L'invenzione dell'alfabeto non ha più messo in discussione il sistema di scrittura utilizzato in Occidente.
La storia, l'economia e la cultura hanno sì condizionato l'uso della scrittura, ma questa, nei quattromila anni circa trascorsi dalla sua invenzione, è stata veicolo ed espressione di quelle.
Gli imperi, le cancellerie, le epigrafi, i codici, gli scriptoria, i monasteri e le grandi abbazie, gli studia, la stampa e le leggi sono enti diversi e diversificati del sortilegio e dell'autorità della scrittura. E cosa tenne unità l'Europa che si sbriciolava dopo la dissoluzione dell'Impero Romano, se non la dirompente forza della scrittura? Una flebile unità fu mantenuta grazie alla scrittura, nonostante il particolarismo grafico altomedioevale[8], usando la felice espressione del Cencetti. E cosa, se non l'immane potenza deflagrante della scrittura fece della stampa uno tra i più pericolosi mezzi di distruzione e distrazione di massa?
Chi è Virgilio, chi è Alcuino, chi è Gutenberg senza la scrittura? Cos'è la Chiesa, cos'è la Riforma protestante, cos'è la Rivoluzione francese senza la scrittura? Niente, citando l'abate Siéyés. L'Occidente è la scrittura: la scrittura alfabetica.
I giorni nostri sono contraddistinti da un'alfabetizzazione massiccia, coatta e spersonalizzata, e minati da un analfabetismo di ritorno. In questo scenario il progresso tecnologico e la struttura economica del III millennio d. C. impongono nuovi sistemi di scrittura e nuovi linguaggi, i quali impongono nuove logiche alfanumeriche, binarie e relativiste, lontane da quella alfabetica. Ma anche in questi casi, laddove ai grafemi legati a fonemi si sostituiscono serie infinite di 0 e 1 o di codici alieni, la scrittura rivela la sua arcana potenza di mantenere in eterno, di trasformare e di evolvere.
Pietro Simone Canale
[2] Per un quadro generale sui Sumeri e sulla Mesopotamia si rimanda a G. Pettinato, I sumeri, Milano, Bompiani, 2005.
[3] Si rimanda a W. Watson, La Cina prima degli Han, Milano, Il Saggiatore, 1977.
[4] F. Masó Ferrer, La più grande invenzione della civiltà. La nascita della scrittura, in «Storica. National geographic», numero 34, dicembre 2011, pp. 26-39.
[5] Principio su cui si basa la grafia fonetica semitica ed egizia, dove è parallela al geroglifico; consiste nell’assegnare a un segno in origine pittografico il valore della consonante iniziale della parola da esso rappresentata: così il segno indicante la «mano» vale y nelle scritture semitiche, perché la parola «mano» è in semitico yōd. Uno dei sistemi di numerazione greca prevedeva che i numeri fossero indicati con la lettera iniziale del loro nome (per es., Π=πέντε, 5; Δ=δέκα, 10). Treccani.it L'Enciclopedia italiana, http://www.treccani.it/enciclopedia/acrofonia/.
[6] Si rinvia alla recente opera di M. Betrò, Geroglifici. 580 segni per capire l'Antico Egitto, Milano, Mondadori arte, 2010.
[7] M. E. Aubet, The Phoenicians and the West, Cambridge University Press, London, 20012.
[8] G. Cencetti, Paleografia latina, Napoli, Ed. Jouvence, 1978, pp. 70-5. Per una storia generale della Paleografia latina si consiglia A. Petrucci, Breve storia della scrittura latina, Roma, Bagatto Libri, 1992.